martedì 23 settembre 2014

In marcia per il nostro futuro

Pubblico di seguito il mio intervento integrale in occasione della Marcia per il Clima a Rimini, Giovedì 18 Settembre 2014. Quel giorno abbiamo inaugurato una serie di manifestazioni a livello globale sfociate domenica 21 Settembre in più di 2'600 eventi organizzati in 156 paesi diversi, per un totale di oltre 165'000 persone scese in piazza a dimostrare la loro determinazione a vivere in un Mondo pulito e rinnovabile al 100%.

La testimonianza di quella giornata è un gruppo di persone come te che si sta organizzando a Rimini per continuare la mobilitazione, la sensibilizzazione e la promozione di attività che aiutino a migliorare le nostre prospettive future. Aspettiamo anche il tuo contributo, qualsiasi esso sia sarà il benvenuto. Per info ci trovi su:

Facebook: Marcia Globale per il Clima a Rimini
Twitter: @climarimini

Chi non avesse voglia di leggere tutto si porti a casa almeno questo messaggio:

"Capite quello che sta succedendo attorno a voi, e poi guardatevi dentro e capite quanto sia importante agire. E allora iniziate, ognuno per sé, a fare la vostra parte. Fate la cosa giusta, la gente seguirà il vostro esempio e la storia vi darà ragione. E allora davvero saremo in tanti. E non potranno non ascoltarci. Ma faccio qui una scommessa: in quel momento, nel momento in cui saremo davvero in tanti a fare quello che serve, non ci importerà più essere o meno ascoltati. Perché avremo già risolto il nostro problema."


Marcia Globale per il Clima a Rimini, ci trovi su Facebook e su twitter come @climarimini

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In marcia per il nostro futuro

“Oggi è quando inizia la nostra storia, la storia di un momento unico nel cammino dell’uomo. Non l’abbiamo scelto, ci è capitato. Ogni generazione ha avuto le sue gatte da pelare, a noi ne è toccata una bella grossa. È la lotta del nostro tempo. Siamo i primi a sentire gli effetti dello sconvolgimento climatico, e allo stesso tempo gli ultimi a poter fare qualcosa per fermarlo. Siamo chiamati ad affrontare un problema che in futuro determinerà dove vivremo, come vivremo, e se vivremo.”

Parlare da qui oggi per me è molto importante, perché posso fare la mia parte. In quanto cittadino di questo pianeta, esattamente come voi, ho il potere e il dovere di fare la mia parte, esattamente come voi.

Per parlare dei cambiamenti climatici dobbiamo capire razionalmente cosa sta succedendo prima di tutto, dobbiamo parlare di scienza. Ma capire non basta, bisogna fare qualcosa, e per fare servono le motivazioni, la voglia, la passione. Per questo oggi proverò sí a parlare ai vostri cervelli, ma per una volta anche ai vostri cuori.

Conoscete l’IPCC? È l’agenzia intergovernativa sul cambio climatico, il più autorevole organismo internazionale sul tema. È composto da scienziati di tutto il mondo che in maniera volontaria raccolgono ed esaminano dati scientifici (pubblicati in tutto il mondo) per capire essenzialmente tre cose. La prima: esiste il cambio climatico, e se si, è dovuto alle azioni dell’uomo? La seconda, quali sono gli impatti, le conseguenze, e come possiamo fare noi per adattarci ad esse. E la terza: possiamo addirittura mitigarle, cioè ridurle, visto che ormai tornare indietro del tutto non si può?
Piú o meno ogni 5 anni dal 1990 l’IPCC rilascia un rapporto che è un po’ la bibbia del cambio climatico, visto che descrive la nostra attuale conoscenza di una materia incredibilmente complessa. Conoscenza che poi deve servire a stabilire una base comune a livello globale affinché la politica possa prendere decisioni informate ed efficaci, su una questione che riguarda tutti.
Bene nell’ultimo rapporto, rilasciato proprio quest’anno, l’IPCC ci dice che un paio di cose fondamentali sono diventate finalmente chiare. Si, il cambio climatico è una realtà, esiste, non se lo sono inventato gli hippies. E si, non per volerci autoflagellare, ma abbiamo anche capito che è palesemente dovuto alle nostre azioni.
Nel 2007 l’IPCC ha vinto il premio Nobel per la pace, assieme ad Al Gore, autore del film “An inconvenient truth”, tradotto in italiano come una scomoda verità. Questo perché studiando un problema così grande da riguardare il mondo intero, si prevengono letteralmente le future guerre per le risorse. Ma anche perché a soffrire maggiormente degli impatti del cambio climatico saranno, manco a dirlo, i più poveri e vulnerabili. E quindi cercare modi per risolverlo è un modo per aumentare la giustizia e l’eguaglianza a livello mondiale.


I FATTI

Ma di cosa stiamo parlando? Spesso si fa confusione tra cambiamento climatico, riscaldamento globale, effetto serra... queste cose non sono la stessa cosa, ma una la causa dell’altra: il cambio climatico è provocato dal SURriscaldamento gobale, che a sua volta è provocato dall’effetto serra.  In realtà funziona un po’ come una coperta: immaginatevi l’intero pianeta avvolto in una coperta di lana, va a finire che si scalda. Quella coperta è fatta di CO2 e di altri gas detti climalteranti, che assorbono il calore che la Terra emette dopo esser stata riscaldata dal Sole e lo rimbalzano di nuovo verso il basso contribuendo a scaldarla. Oltre alla CO2 i più importanti sono il vapore acqueo, il metano e il protossido di azoto. Questo effetto coperta non è un male in sé, giacché senza di esso non si potrebbe abitare questo pianeta perché sarebbe troppo freddo. Il problema è quando la coperta di lana si ispessisce sempre di più: va a finire che si scalda troppo, surriscaldamento globale. È provato, l’abbiamo misurato, abbiamo capito fuori da ogni dubbio che tutto questo è dovuto principalmente alle nostre attività.


Le cause

C’è stato un momento nella storia dell’uomo, a partire da metà 800’, in cui abbiamo scoperto di avere sotto i piedi una fonte di energia incredibile, concentratissima e ampiamente disponibile: i combustibili fossili, carbone, gas naturale e petrolio. Erano talmente abbondanti e densi di energia da farci ubriacare, energia praticamente gratis. E siccome senza energia non si fa nulla, ma con l’energia si può fare tutto, ecco la rivoluzione industriale, lo sviluppo tecnologico e l’emergere della società moderna. Qualsiasi cosa che facciamo o che usiamo oggi dipende in tutto e per tutto da consumi spropositati di energia fossile: per arrivare fin qui, per scaldare e illuminare le nostre case, per scaldare l’acqua e ormai perfino per tostare il pane a colazione.
Ma da quell’ubriacatura non ci siamo mai veramente ripresi, ci siamo abituati talmente bene che ne usiamo molta più di quella che ci serve, semplicemente perché possiamo. Ecco allora nascere, più che la società dei consumi, la società degli sprechi: oggi divoriamo quantità enormi di energia, spesso in maniera del tutto inutile e spesso male, usandone di piú di quella che realmente ci servirebbe.
Ma tendiamo a dimenticarci, e non dovremmo, di un’altra conseguenza dell’utilizzo dell’energia fossile, cioè che per produrla stiamo bruciando combustibili che inevitabilmente liberano la famosa CO2. 

Ecco da dove ha inizio tutto: il nostro stile di vita, combinato con un sistema che si basa sui combustibili fossili, ci costringe a liberare sempre più CO2 in atmosfera, da cui il surriscaldamento globale, da cui il cambio climatico.


Alcune conseguenze

Avete presente i tifoni e le tempeste tropicali? Sapete perché si chiamano tropicali? Perché avvengono ai tropici, e avvengono ai tropici perché ai tropici fa caldo, e allora l’acqua evapora molto di più e si concentra in atmosfera provocando proprio la nascita di queste tempeste che non fanno altro che scaricare l’eccesso di energia accumulato dalla terra. Già da qui capiamo che non si tratta di andare a lavorare in infradito anche di inverno, c’è molto di più: è molto probabile che di questo andazzo gli eventi estremi aumentino di frequenza e intensità, arrivando anche in regioni dove prima non si verificavano. E quindi mareggiate, inondazioni, piene eccezionali e frane provocate dal dissesto idrogeologico.

Altre cose che ci possiamo aspettare è la trasformazione degli ecosistemi tradizionali, visto che la vita dovrà adattarsi a condizioni climatiche diverse da quelle che abbiamo connosciuto finora. Questo include la desertificazione di aree prima fertili, con conseguente diminuzione della produzione agricola e difficoltà negli approvvigionamenti idrici. In poche parole: meno cibo e meno acqua, oppure cibo e acqua più cari che poi è la stessa cosa. Ma anche la proliferazione di malattie tropicali in zone dove un tempo non vi erano, l’innalzamento del livello del mare che a sua volta favorisce le mareggiate e inondazioni, lo scioglimento dei ghiacci: tutto questo richiederà alle economie del futuro di adattarsi a condizioni che prima non conoscevano. Cosa succede se dove si sciava non c’è più la neve, oppure se dove si andava al mare non c’è più la spiaggia o dove si pescava non c’è più pesce? Tutto questo, è inutile dirlo, porterà a migrazioni. E già si verificano le prime che riguardano qualche sperduta isola del pacifico di cui a nessuno importa nulla, ma di cui ci ricorderemo tutti quando forse sarà troppo tardi e ci renderemo conto di quanto siamo stati miopi.

Prevenire è meglio che curare si diceva. Il problema è che nel nostro caso inizia a essere troppo tardi per prevenire, dobbiamo imparare a convivere con le conseguenze e cercare di non fare altri danni in futuro.
Per questo a livello internazionale è stato stabilito un accordo di di cui forse avrete sentito parlare, per non innalzare la temperatura media globale di oltre 2 °C rispetto ai livelli del 1990. È un limite che piace perché è un numero tondo e fa sembrare tutta la questione semplice, ma non ci assicura nessuna sicurezza: renderebbe accettabile gli impatti e i rischi, permettendoci con grandi sforzi di adattarci in qualche modo, ma evitando probabilmente il punto di non ritorno.


Perché tanta fretta?

Già, perché se una cosa abbiamo capito è che la questione è tremendamente complicata e potrebbe sfuggirci di mano. La Terra è un sistema che si auto-regola, ma che potrebbe farlo su scale che non sono compatibili con la nostra vita su di essa. Le variabili in gioco qui sono tantissime, ma iniziamo a intravvedere alcune situazioni che dobbiamo assolutamente evitare, in cui gli effetti di un processo vanno a rafforzare le cause del processo stesso, in una spirale di causa-effetto in cui il processo si amplifica sempre di più. E proprio per questo, diventa estremamente urgente risolvere questo problema.

Vi faccio tre esempi:
  1. Lo scioglimento delle calotte polari: è dovuto al surriscaldamento globale e a sua volta lo amplifica, visto che fa diminuire la percentuale bianca del pianeta che come uno specchio riflette la luce senza assorbirla. Se dove c’era del ghiaggio oggi c’è un bell’oceano blu scuro, l’energia solare non viene riflessa ma assorbita, contribuendo ancora di più al riscaldamento globale che scioglierà ancora più i ghiacci etc.
  2. Lo scioglimento dei ghiacci perenni della tundra in siberia, da cui si libererebbero grandi quantità di metano, un gas climalterante 33 volte più potente della CO2. Se il riscaldamento globale scioglie i ghiacci della tundra libera il metano che contribuisce ancora di più a surriscaldare il pianeta.
  3. L’acidificazione degli oceani, il più grande serbatoio al mondo di CO2 (più della foresta amazzonica) ma che diventano sempre più acidi assorbendola, impedendo a specie alla base della catena alimentare (come il plankton e i coralli) di sopravvivere, con conseguenze enormi per gli ecosistemi acquatici ma anche terrestri. Inoltre recenti studi ci dicono che proprio il fitoplankton è la maggior fonte di composti che in atmosfera favoriscono la formazione delle nuvole, che riflettendo parte della luce solare aiutano a mitigare il riscaldamento globale. Percui anche l’acidificazione degli oceani potrebbe innescare un meccanismo di feedback positivo.

Tre esempi che vi danno un’idea di quante cose ci sono da capire, e quante variabili da considerare, e di quanto sia seria la questione e quandto sia facile che sfugga al nostro controllo. Per cui capirete ora quanto è importante rispondere a questa sfida, farlo bene e farlo il prima possibile. Sono 20 anni invece, dalle prime conferenze sul clima, che si parla molto e si stringe poco.
Per risolvere sfide come queste, serve un livello di cooperazione internazionale mai visto prima. Fino ad oggi invece, quello che abbiamo ricevuto è stata tanta ipocrisia. Basta pensare che gli stessi firmatari dell’accordo sui 2 °C hanno approvato misure che porteranno complessivamente ad un innalzamento di 6 °C della temperatura media globale, un livello a cui la civilità come oggi la conosciamo non sarà più possibile. Per non arrivare a questo punto dobbiamo lasciare l’80% delle riserve conosciute nel suolo. Capite come questo sia difficile sia per noi che per le compagnie petrolifere.


COSA FARE?

A questo punto la vostra domanda dovrebbe essere: cosa facciamo? Ve lo dico io cosa facciamo: ci rimbocchiamo le maniche e invece che stare ad aspettare la fine col telecomando il mano iniziamo a fare tutto quello che possiamo per rallentare questo processo (perché fermarlo ormai non riusciremo) e per adattarci al meglio alle sue conseguenze.

Non possiamo aspettare che qualcuno da qualche parte prenda qualche decisione. I politici che facciano le leggi giuste, gli scienziati che inventino miracoli tecnologici o i preti che mettano una buona parola per noi con chi conta lassú. Certo, anche loro dovranno fare la propria parte, e siamo qui oggi anche per questo. Ma non possiamo pretendere che risolvano i problemi che abbiamo contribuito a creare se non facciamo anche noi la nostra. Serve che ognuno di noi si attivi e prenda in mano il proprio destino. Pensateci: siamo stati noi che, consapevoli o meno, con le nostre azioni quotidiane abbiamo provocato tutto questo. Com’è stato possibile? Ci siamo messi daccordo per farlo? C’era da qualche parte scritto un piano per arrivare nel 2014 in questa situazione, con l’acqua alla gola? O forse qualcuno ha iniziato a scavare, a usare l’energia fossile, ha visto che conveniva e gli altri hanno semplicemente seguito? E allora vi chiedo: cosa ci impedisce di fare esattamente lo stesso, ma in una direzione migliore, intraprendendo una strada che non vada cozzare contro la natura ma ci vada a braccetto, la rispetti e ne possa trarre giovamento?

Sono le nostre azioni che determinano, che lo vogliamo o no, il futuro che vivremo. Che ne siate o meno consapevoli, è quello che fate oggi che definisce quello che sarete o che potrete fare domani. Che danno forma al mondo in cui vivrete. E allora pensate al vostro stile di vita, pensate a come potete consumare di meno e consumare meglio. Energia, cibo, rifiuti, acqua, trasporti... tutto conta, perché per tutto serve energia, e quindi tutto contribuisce al cambio climatico e tutto può mitigarlo. Per cui vi prego, non sentitevi stupidi nel cambiare le piccole abitudini, perché sono proprio quelle a lungo andare che fanno la differenza. Sono quelle che contagiano chi vi sta attorno ed arrivano a raggiungere le grandi scale, molto piú di un like su Facebook!
Anche se vi può sembrare assurdo, fate molto di più piantando uno dei piccoli alberelli che vi abbiamo dato oggi, o cambiando le abitudini di quello che fate ogni giorno. Prendete la bici o camminate se potete. Mangiate meno carne possibile, comprate prodotti biologici e locali. Fate attenzione a quello che comprate, comprate solo quello che veramente vi serve. Usate meno energia per fare quello che vi serve, e fate attenzione che provenga il più possibile da fonti pulite e rinnovabili. Tra di queste vi ricordo che c’è la vostra energia muscolare, che non fa male tornare ad usare di più perché tiene in allenamento. Parlate ai vostri amici ed educate i vostri figli a convivere in armonia con la natura, a rispettarla.
Tutto questo, sommando assieme quello che ognuno di noi nel suo piccolo può fare, a grande scala può davvero fare la differenza. E soprattutto, dipende solo da voi e la vostra volontà di vivere in un futuro migliore. Non dovete aspettare niente o nessuno per farlo.


L'emergenza della vita

Quest’ultima parte è dedicata in particolare a quelli che ancora non sono convinti da questo discorso da boy-scout. C’è una cosa, in natura, che si chiama emergenza. Non intendo qui uno stato di eccezionale e improvvisa necessità, ma quando qualcosa che prima non c’era emerge inaspettatamente da un’associazione di molte cose più semplici. La vita stessa è un fenomeno emergente: molte cellule assieme fanno un tessuto e molti tessuti fanno un organo, molti organi fanno un organismo: voi. Ognuno di voi è un fenomeno emergente, la prova vivente che unire le forze di quei miliardi di cellule conveniva. La nostra capacità di volere e di pensare, di provare emozioni è qualcosa che non esiste a livello delle molecole che formano il nostro corpo. Possiamo solo provarle una volta che diventiamo persone. Allo stesso modo, questa piazza è qualcosa di emergente. Ognuno di voi può fare delle cose come dicevamo, ma una piazza come questa può fare cose che trascendono quello che chiunque di voi può fare individualmente.

E allora perché diciamo che oggi #contaesserci, perché in una giornata così ci guardiamo attorno e ci sentiamo parte di qualcosa di più grande, di emergente appunto. Ci sentiamo parte di una piazza intera. E in questi giorni, in tutto il mondo, in mille altre piazze come questa milioni di persone come noi si staranno guardando negli occhi, facendo emergere qualcosa che prima non c’era, qualcosa di straordinario, di mai visto prima. Una coscienza collettiva che basta aspettare, bisogna agire, bisogna fare qualcosa.
Siamo qui per chiederlo ai politici, certo. Quello è il loro lavoro, li paghiamo per per ascoltarci e rispondere alle nostre esigenze, e non ce ne dimentichiamo. Ma queste piazze in connessione oggi e domani dovranno arrivare ben oltre. Dovranno arrivare a connettere ciascuno di noi, con quello che sappiamo e con quello che facciamo. Abbiamo di fronte un compito straordinario e verremo ricordati in futuro come quelli che hanno risposto ad una delle più grandi sfide della storia.


La lotta di tutti

Ma non pensiate che sia una questione per ambientalisti, è anche e forse soprattutto una questione di diritti umani e di giustizia sociale. Questo è un movimento che ha mille sfaccettature, perché è talmente importante da poterle riunire. C’è un enorme varietà e diversità in questa piazza oggi e ci sarà domenica in tutte le piazze del mondo. Movimenti per la sovranità alimentare, per il diritto all’acqua, per le energie rinnovabili, per la giustizia sociale, per l’equità nello sviluppo... tutte assieme con un unica voce, quella del più grande movimento mai visto nella storia dell’uomo. Quello di una specie che chiede in coro a un pugno dei suoi eletti di darsi la possibilità di sopravvivere.
E di farlo nell’unico posto in cui sappiamo esser possibile: il pianeta Terra. Cercate di capire l’eccezionale bellezza e unicità della situazione che viviamo oggi: la Terra è un sistema unico nell’Universo conosciuto. Un sistema meraviglioso che ci permette di vivere. Non potremmo farlo in nessun altro posto, gli unici che hanno qualcosa da perdere siamo proprio noi. Qui non si tratta di salvare il pianeta. Significa di salvare noi. In qualche modo, magari martoriato, il pianeta sopravviverà altri miliardi di anni, magari molto diverso da come lo conosciamo ma sopravviverà. Ma noi? Cosa faremo se si creeranno, anche per effetto delle nostre azioni, delle condizioni in cui vivere non sarà più così facile come abbiamo sempre conosciuto, o addirittura non sarà possibile?

Chi ha figli pensi che a quanti anni avranno tra 15 o 20 anni, quando dovremo verificare se abbiamo o meno ragginto gli obbiettivi che ci diamo oggi, e se sono stati o meno efficaci. Pensi a come vivranno loro allora, per le scelte che noi avremo o non avremo fatto oggi.

Ora non siete più un gruppo di persone, siete una piazza. E tra qualche giorno leggete le notizie, vi accorgerete che non solo siete una piazza, siete una rete mondiale. Non molleremo, sempliceamente perché non possiamo. Non molleremo, semplicemente perché se non lo facciamo noi, e voi con noi, non lo fará nessuno al posto nostro.

Capite quello che sta succedendo attorno a voi, e poi guardatevi dentro e capite quanto sia importante agire. E allora iniziate, ognuno per sé, a fare la vostra parte. Fate la cosa giusta, la gente seguirà il vostro esempio e la storia vi darà ragione. E allora davvero saremo in tanti. E non potranno non ascoltarci. Ma faccio qui una scommessa: in quel momento, nel momento in cui saremo davvero in tanti a fare quello che serve, non ci importerà più essere o meno ascoltati. Perché avremo già risolto il nostro problema.

Grazie di cuore per esserci stati.


#sosteniamoci   #marciaperilclimarimini   #contaesserci   #peoplesclimate

mercoledì 4 giugno 2014

Il tempo del tutto e del nulla

Il senso di questo articolo

Penso che il problema più grosso che abbiamo in Italia oggi sia la deriva culturale. Da una parte chi per capacità potrebbe rappresentare una guida di spessore e arricchire gli altri vede presto sprecati i propri sforzi per disinteresse degli interlocutori; per cui presto abdica al suo ruolo sociale, peraltro non scelto ma conseguente alle proprie capacità. Dall'altro la stragrande maggioranza delle persone è distratta dalle questioni che contano veramente, cioè quelle che in un modo o nell'altro determinano la qualità della loro vita. Troppo spesso si preferisce il futile e l’inutile alla cultura e all'impegno civile, gli slogan all'analisi seria, la faciloneria alla serietà.

In questo clima - ricordandoci che in democrazia ogni voto vale uno - è chiaro che l’espressione della maggioranza spesso non sia la più qualificata ad amministrare la società e a prendere le decisioni per tutti. Non è un problema della democrazia, ribadisco, è un problema di abbruttimento culturale. La cultura dominante tende continuamente al ribasso. Per cui sia la classe dirigente che quella politica, non essendo altro che uno specchio della società che rappresentano, non possono fare altrimenti.

Quale soluzione? Non esiste la pillolina magica indolore, bisogna impegnarsi a restituire alla cultura l’importanza che merita, riscattandola da decenni di denigrazione pubblica che in alcuni casi sfiora il disprezzo. Uscire dai luoghi comuni fasulli e dare applicazione reale a tutto questo, recuperando lo spirito civico e l’impegno in prima persona. Iniziare a percorrere la lunga e difficile strada che conduce al rinnovamento non del vertice della piramide, ma dell’intera base. Un percorso tortuoso e mai finito di costante autocritica, l’unico a mio avviso in grado di condurci a risultati duraturi. Tutto il resto temo sia destinato ad essere una speranza passeggera, più o meno infondata.

Qui sotto qualche riflessione più articolata.




NUBI DI IERI SUL NOSTRO DOMANI ODIERNO (cit.)

Nel commentare la debacle della sinistra (più o meno) radicale alle elezioni politiche del 2013 (Il pedone e il giocatore di scacchi), mi chiedevo come fosse possibile che praticamente uno su tre di quelli che erano andati a votare si fossero lasciati abbindolare ancora una volta dalle promesse farlocche del  signor Berlusconi. Mi chiedevo anche come mai tanti altri non capissero che fossero l’iniquità nella distribuzione delle risorse, l’ingiustizia sociale, la mancata presenza di un senso civico contrapposto al mero opportunismo le maggiori cause della triste situazione in cui versa il nostro Paese. Ma soprattutto, in tutto questo, mi interrogavo sul ruolo dei cosiddetti intellettuali di sinistra. Ossia quella schiera di studiosi e sagaci osservatori della realtà che, dall'alto della propria invidiabile cultura, certamente sarebbero in grado di aiutare molti a districarsi nella giungla dell’analisi politica. Nonostante tutto, spesso e volentieri queste persone faticano a scendere a parlare al mondo dei comuni mortali, nella loro lingua. Come se non li riguardasse, come se non fosse compito loro. Come se fossero vinti da un’atavica pigrizia a sporcarsi le mani con l’uomo medio, a sostenere 1'000 volte e altre 1'000 ancora la stessa, stucchevole e magari inutile, conversazione. Non per convincere, ma per far luce su aspetti fino a quel momento magari sconosciuti, per aiutare a riflettere. Perché mi chiedevo tutto questo? Semplice: perché in democrazia ogni voto vale quanto l’altro. Il voto degli illuminati vale esattamente quanto quello dell’uomo della strada, dell’incolto e dello zoticone. Per cui questi signori dalla ampie vedute non possono venir meno a una funzione sociale di cui nessuno li ha investiti, ma che nonostante tutto hanno la responsabilità (e l’onore) di ricoprire, certamente in gran parte per meriti propri. Nel non farlo erano proprio loro a permettere la debacle di quella rappresentanza cui appartengono, che più di altre rifugge l’analisi spicciola per abbracciare invece vedute ad ampio raggio nel tempo e nello spazio. E che proprio per questo ha bisogno di una costante e infaticabile azione di diffusione e divulgazione, informativa e riflessiva. In alternativa vince il populismo e la demagogia, ammesso che esista ancora qualcosa che non lo sia in politica.

Di tutto questo mi lamentavo allora e, a un anno ed una tornata elettorale di distanza, posso osservare che nella sostanza nulla è cambiato, ma che forse qualcosa in più si muove. Siamo sempre di fronte ad un’occasione da cogliere per mettere in pratica quel cambiamento impellente che richiede una partecipazione informata di tutti alla cosa pubblica. Siamo sempre ad aspettare che, ognuno per sé, si capisca che fare politica non significa né candidarsi né mettere una X di tanto in tanto, ma parlare, discutere, ragionare, ascoltare, capire e riflettere assieme. Che far politica è un atto quotidiano di partecipazione civile che spetta a tutti. Nel frattempo qualche intellettuale la faccia ce l’ha messa, e il progetto della lista civica della sinistra radicale si è ripetuto prendendo qualche voto in più. Son cose che fanno ben sperare, ma non basta.

Capiamoci. Il problema non è poi dei singoli, è della società. Una società distratta e senza fiato, che arriva alla sera sfiancata da lavori ingrati e spesso alienanti, che non vuole ragionare di massimi sistemi perché ha già abbastanza problemi ogni giorno per sbarcare il lunario. Che per la testa di questioni pratiche da risolvere ne ha già tante ed è abituata a delegare qualsiasi cosa trascenda la propria individualità. È lo scacco matto alla partecipazione. È questa la società settaria del disinteresse per i beni pubblici e per la cultura “che non si mangia”. È questa la società della mancanza di civismo e compassione, del cinismo e del parassitare. È il paese che ha paura di guardarsi allo specchio perché ha vergogna di quello che potrebbe vedere. Molto meglio nutrirsi dei sogni degli altri che provare a seguire i propri, il rischio è quello di fallire.

Certo, è la società intera a doversi sollevare, a invertire una marcia debosciante ed abbruttente che dura da fin troppo tempo. Ma la società è fatta dai singoli, per cui se non sono loro in primis ad abbracciare il cambio di rotta, a condividere il proprio coraggio con gli altri trovandovi una sponda (magari inattesa), a sostenersi gli uni con gli altri amplificando la propria voce fino a diventare una marea che tutto travolge... allora non si vede come le cose possano migliorare. Migliorare certo, cambiare non basta. Sempre che interessi a qualcuno.


RUMORE

Un problema grosso da risolvere è che pare essere scomparso il concetto di importanza relativa. Ogni giorno affoghiamo nel calderone dell’era dell’informazione e della controinformazione senza sapere che direzione prendere. Siamo saturi di tutto e del contrario di tutto e rischiamo di rimanerci invischiati come a nuotare in un barattolo di miele. Servirebbe una guida. Si da il caso che l’evoluzione ci abbia dotato di uno strumento straordinario per orientarci, uno strumento spesso dimenticato che ha dimora tra le nostre orecchie: il cervello. È l’uso della ragione e della critica costante che potrebbe guidarci meglio di qualsiasi altra cosa attraverso il labirinto del web e del mondo globalizzato a portata di click. È il rimanere attivamente coinvolti nel ricercare l’informazione che ci serve a rappresentare oggi la vera possibilità di rivoluzione del pensiero, al di là del supporto tecnologico che di per sé non è che uno strumento.

Attivamente coinvolti, non passivamente recettivi di qualsiasi contenuto sia bombardato in nostra direzione... In questo il web offre sicuramente possibilità nuove di interagire coi contenuti, molto più della scatola magica televisiva che rappresentava (e tuttora rappresenta) semplicemente il veicolo di un pacchetto preconfezionato sparato contro l’homus da divanum a riempire lo spazio tra le orecchie di cui sopra. Ma di per sé il web non salva nulla. Pur offrendo per definizione più spazio alla selezione critica dei contenuti, e persino alla loro creazione, è uno strumento anche quello e va usato bene.

Ecco perché penso che uno problema grossissimo della società di oggi sia la perdita delle priorità. Lo spazio cerebrale viene riempito egualmente da cagnolini che abbaiano o gattini che tirano la catena del wc, di nani e ballerine, casi umani e fenomeni da baraccone che aspirano ai loro 5 minuti di celebrità, di tette culi e pornografia spicciola, di gente che altro merito non ha se non di potersi comprare fama e rispetto, dell’infotainment strabordante di politici che non si sa dove in effetti trovino il tempo per fare gli amministratori pubblici, dell’uomo della strada che grida compiaciuto e con la bava alla bocca contro tutto e tutti che così non va e nonsipuòandareavanticosì... mi scuserete per il qualunquismo, ma di qualunquismo si tratta. Qualunque cosa ci diano, ce la ingoiamo senza chiederci se abbiamo fame o no, e di che cosa. Si perdono le priorità, non si capisce più cosa abbia importanza e cosa no, a cosa vale la pena dedicare le proprie (limitate) energie, di cosa dispiacersi e di cosa no, dove interessarsi e dove tralasciare, dove cambiare canale e dove alzare il volume. Ed è una tragedia. Anzi, una traggedia (rafforzativo). Perché questa dispersione di attenzione, di risorse cerebrali, di interesse e di azione fa esattamente il gioco di un sistema che della partecipazione non se ne fa nulla, anzi. Un sistema che vuole solo creare l’illusione della partecipazione, per poi distrarre dalle questioni principali dirottando le energie sul futile e sul del tutto inutile, continuando ad occuparsi di ciò che conta per davvero nei club privati più o meno esclusivi.

Esiste un antidoto a tutto ciò? No. Ma c’è una strada faticosa e lunga da percorrere che varrebbe la pena iniziare ad imboccare: quella della cultura e del dialogo. Non dell’indottrinamento e delle urla. Quella che legge e riflette per mettere in fila quello che ha imparato; quella che prima di parlare ascolta; quella che rimane vigile, sempre, nel farsi domande e nell'usare il proprio raziocinio per rispondere; quella che stabilisce delle priorità e le segue; quella che guarda lontano e si lascia scivolare addosso lo stucchevole e volgare teatrino che ogni giorno ci bombarda per renderci pecore; quella che non ha paura di esprimere un dissenso costruttivo e che ha la forza di mantenere le proprie posizioni, ma solo finché ragionando su elementi nuovi non cambierà idea o non avrà altri elementi da aggiungere. È una strada da insegnare ai nostri bambini e ai nostri ragazzi, certo, ma da far scoprire anche agli adulti e a chi oggi regge in piedi il mondo. È una stradina scivolosa e tortuosa da fare con umiltà e coraggio, ma non ne conosco di migliori da percorrere.

Non mi resta che augurare a tutti i naviganti buon viaggio.





domenica 16 febbraio 2014

Le parole sono importanti

C’è una regola d’oro a cui tutti dovremmo cercare di non venire a meno: stare in silenzio quando non abbiamo nulla da dire che non possa interessare i nostri interlocutori.

Parliamo di comunicazione. Comunicazione di qualsiasi tipo in qualsiasi forma: stiamo parlando di un binario a doppio scambio. C’è qualcuno che vuole condividere qualcosa, ma per farlo deve anche trovare qualcuno disposto ad accogliere il messaggio. Come succede in un sistema antenna-ricevitore: la comunicazione, lo scambio di informazioni, non avviene se manca uno dei due. Purtroppo ultimamente ce ne dimentichiamo spesso. E allora parlare, scrivere, fare foto, disegnare, danzare o qualsiasi altro mezzo si scelga di usare perde la sua funzione comunicativa. Non è più veicolo di un messaggio, non porta informazioni a qualcun altro. Rimane semplicemente una forma di espressione di sé stessi. Non che non sia utile, anzi. L’espressione di quello che si ha dentro, anche quando non si trova nessuno disposto ad ascoltare, è una necessità di chiunque e ci ha spesso regalato alcuni dei capolavori più grandi della storia dell’arte. Senza dar sfogo alla necessità di esprimere noi stessi il mondo sarebbe piatto, freddo, grigio. La necessità di espressione personale non solo è fonte di arte, ma anche di innovazione e di progresso. È quella cosa che ci fa stare al passo coi tempi e rende ogni periodo storico un argomento a sé, degno di essere studiato e approfondito. L’espressione di sé diventa in questo modo, essa stessa, una forma di comunicazione del proprio tempo, ma allo stesso modo da forma al proprio tempo.

Quando però l’espressione di sé perde il fuoco che le impone di uscire fuori, quando non viene prima digerita a dovere per trovare la forma che meglio le si adatta, quando diventa puramente auto-celebrativa e immediata, ripetitiva, istantanea, sterile e usa-e-getta... allora credo che abbiamo qualche problema. Perché significa che tutti parliamo, e di continuo, ma nessuno ascolta. E in questo modo, penso davvero che faremmo tutti meglio a stare zitti. Il messaggio, in ogni caso, non arriva. Risparmieremmo energie e, probabilmente quello che è più importante, la delusione di non essere ascoltati o capiti. Di non ricevere l’attenzione di cui abbiamo bisogno.

Cosa pretendo di fare allora mentre sto scrivendo? Lo stesso che mi propongo di fare quando parlo con qualcuno. Condividere un qualcosa – sentimenti, emozioni, informazioni, opinioni, dati – che ritengo importanti per entrambi. Non solo per me, altrimenti che senso avrebbe comunicarle a qualcun altro? Basterebbe parlare di fronte a uno specchio. Sarebbe un nutrirsi di visibilità per soddisfare il proprio ego. Nulla di tutto ciò. Faccio quello che faccio perché (a torto o ragione) lo ritengo importante. Penso che tutto questo possa avere una funzione, sia di una qualche utilità anche per chi legge. Per i contenuti che veicolo e le informazioni che condivido, certo. Ma anche perché prendendomi la briga di farlo in prima persona ciò mi permette di avere una funzione sociale, un qualcosa che va al di fuori della mia individualità. Ma affinché tutto questo sia possibile, le informazioni che condivido devono avere un valore anche per l’ascoltatore. Devono essere utili anche al lettore. Devono riuscire a spronarlo in qualche modo, devono farlo riflettere, devono aiutarlo conoscere cose che prima ignorava.

Uso volutamente il termine condividere e non dare. Dare un informazione presuppone l’esserne il depositario unico e generare un flusso unidirezionale. In tutta onestà non penso che questo possa essere possibile, per nessuno. Condivisione significa sentirsi allo stesso tempo antenna e ricevitore di un qualcosa che sappiamo non essere statico, ma in continua evoluzione: la conoscenza/coscienza. Condividerla assume quindi il significato di prendersi per mano e dire “so che abbiamo un cammino infinito che ci aspetta davanti, e che probabilmente quello che ti dico oggi non varrà più domani. Ma nonostante tutto penso che valga la pena iniziare a farlo assieme, imparare l’uno dall’altro ad arricchirci delle nostre reciproche esperienze. Quando poi si riveleranno obsolete, le aggiorneremo, le miglioreremo”. Ancora una volta è il metodo quello che conta. Il modo in cui lo si fa.

Comunicare è un esigenza naturale delle persone, che nasce dal bisogno di fare comunità, di vivere in società, assieme. Di condividere. Informazioni importanti alla sopravvivenza del gruppo, ad esempio. L’espressione di sé stessi è anch’essa un qualcosa di innato e importante. Spesso, ma non sempre, queste due cose si incrociano. Ma non sono la stessa cosa.




Oggi i social network e internet ci mettono di fronte alla continua e costante ostentazione del proprio ego, resa possibile alla velocità di un click. Espressione immediata che si pretende spesso ammantata di un arte che non possiede. Semplicemente, non ne ha avuto il tempo. L’arte, l’espressione profonda di sè stessi, richiede anche il tempo della riflessione, dell’interiorizzazione e dell’affinamento della tecnica. Il mondo cibernetico che viaggia alla velocità della luce non ce lo permette. Per cui ci troviamo sempre piú spesso a trangugiare bulimicamente bit di informazione frammentata e sporadica. Informazione che spesso non ha l’obbiettivo di comunicare qualcosa, non le interessa sapere se stiamo o no ascoltando. Le basta specchiarsi ed uscire dai polpastrelli delle dita. Le basta contare i pollici all’insù e le visualizzazioni. A tanto siamo arrivati, a contare quantità delle reazioni e non più qualità delle interazioni.

È un informazione non richiesta, che nasce e muore immediatamente, che non arreca nessuna utilità a chi ne fruisce. È un informazione sterile e noiosa, autocelebrativa e vanitosa, standard e dozzinale. Tutti ne siamo capaci eppure ci sentiamo sempre gli unici, i migliori, i più importanti. Datemi i miei 5 minuti di celebrità, datemi la mia dose di visibilità. Lasciatemi usare quella parola che ho appena imparato e che fa tanto cool. Mi rifiuto di considerare tutto questo una forma di espressione. È solo un disperato bisogno di attenzione, piuttosto faremmo bene a chiederci il perché di tutto questo.

A maggior ragione, non ha niente a che vedere con la comunicazione. Se non mi stai dicendo qualcosa che serve anche a me, non c’è condivisione, non c’è comunicazione. Se stai parlando da solo, il tuo messaggio non troverà la strada per arrivare a me. Se non mi stai offrendo l’opportunità di arricchirmi in qualche modo, non mi interessa grazie. Non è snobismo, è ricordarsi del significato delle parole. Le parole sono importanti. La manipolazione, il lavaggio del cervello spesso partono proprio dall’usare le parole in un contesto in cui non c’entrano niente.

Comunicare oggi lo fanno davvero in pochi. Quello che vedo sempre più, tristemente anche nelle conversazioni private, è l’autocelebrazione dell’ego. Avanti così, se vi pare. A me non interessa.


Piuttosto, me ne sto zitto.




sabato 14 dicembre 2013

Tutta la luce che illumina il giorno, un tempo dormiva in un punto solo

La luce, lo sappiamo, si propaga in linea retta. Pensate ai raggi che entrano dalla finestra di una stanza in penombra, così ben definiti. A guardare una sorgente luminosa da lontano, essa ci apparirà quindi come un punto brillante che irraggia luce in ogni direzione dello spazio. Come una stella. Guardarla direttamente fa quasi male agli occhi, guardare la sua luce allontanarsi invece è più facile. Questo perché i raggi tendono a divergere gli uni dagli altri, disperdendosi. Per cui mano a mano che ci allontaniamo dalla sorgente, la luce è sempre meno concentrata. È come quando si soffia dentro ad un palloncino su cui sono stati disegnati dei puntini. Quanto più si gonfia, tanto più i puntini si allontanano tra di loro.



Ora ribaltiamo il nostro punto di vista. Pensiamo di voler raccogliere la luce che ci arriva da quella stella. Più che rincorrere ogni raggio di luce mentre scappa nella sua direzione, perché non pensare di catturarla all'origine? Come? Avvolgendo la fonte in qualcosa di sferico, una sorta di retino caccia-luce. Quanto grande? Dipende da quanto siamo lontani dal centro. Più ci avviciniamo al nucleo infatti, al cuore pulsante della stella, e più potremo ridurre le dimensioni del nostro retino visto che l’energia è tutta lì, non si è ancora dispersa. Posto che il nostro retino resista a quell'intensità energetica, si farebbe peraltro molta meno fatica che ad averne uno gigantesco che avvolga la stella intera.

Problem busters
È un po’ quello che succede con i problemi. Poniamo di avere 1’000 problemi da risolvere. Se ci accorgiamo che in realtà questi derivano da una causa comune, non ha senso risolverli uno a uno. Nè ha senso aspettare che si ingigantiscano o si disperdano, prima di fare qualcosa. Per essere davvero efficaci, bisognerebbe invece andare quanto prima alla causa comune e cercare risolverli tutti una volta per tutte.
D'altronde è banale, semplice logica. Eppure lo dimentichiamo, continuamente. Lo facciamo tendenzialmente perché confondiamo la causa con l’effetto, la fonte di energia con la forma in cui questa si propaga, l’idea con la sua realizzazione. Pensiamo che la lampadina accesa e la luce che emana siano la stessa cosa. Non lo sono.  E allora diamo la caccia col nostro retino ad ogni singolo problema come se fosse in sé una causa primaria, mentre in realtà non è che l’effetto di una causa più profonda e per questo meno visibile. Soprattutto ad occhi superficiali. Soprattutto ad occhi distratti.
Succede quindi che per risolverli tutti, quei 1’000 problemi, dobbiamo spendere 1’000 volte energia. Talmente tanta che spesso lasciamo perdere. Magari usiamo perfino 1’000 retini diversi. Il tutto mentre la loro causa profonda – irrisolta – continua a pulsare, a irraggiare e a crearne altri – di problemi – che noi torneremo a cacciare come sempre. “Problemi irrisolvibili”, ci diciamo allora. Oppure: “Ce ne sono troppi, da dove iniziare?” Oppure ancora, “Ne arriverà comunque un altro, tanto vale evitare di dannarci a risolvere questo”. E loro, nel frattempo, restano lì a tormentarci. È evidente che si capisse che esiste, e dove sta, una causa comune sarebbe tutto molto più semplice.
Perché a volte non immaginiamo nemmeno che esista. Altre volte, pur intuendo che debba esserci un nucleo che irraggia da qualche parte, non riusciamo a trovarlo. Magari cerchiamo nella direzione sbagliata. O seguiamo percorsi troppo tortuosi anche se, l’abbiamo detto, i raggi di luce viaggiano in linea retta. Per cui osservando dove si incrociano ci sono buone possibilità di trovarne la fonte. E se funzionasse così anche con i problemi?

Geometria conoscitiva
Pensiamo di stare su di una sfera immaginaria, la sfera delle questioni irrisolte. Una sfera fatta di tutti i problemi che ci tormentano, come puntini sulla superficie collegati tra loro da una rete. Sforziamoci di conoscerla, questa rete, di tessere le relazioni tra una questione e l’altra in modo da contestualizzare, da relativizzare, da associare e dissociare, da mettere in prospettiva. Ma non fermiamoci lì. Ogni questione irrisolta è infatti collegata alla sua causa profonda, quella che sta al centro della sfera. Il nucleo pulsante di ogni questione, che si materializza in mille forme diverse nel suo irradiare problemi come raggi di luce. Ognuno dei quali diventa un puntino sulla superficie della sfera, nel suo propagarsi. Proprio come una stella. Chiaramente, lo avrete capito, è uno schema molto semplificato, ma funziona. Possiamo pensare a diversi livelli di aggregazione, passando da un problema ben concreto su cui indagheremo più in dettaglio fino alle questioni fondamentali che tratteremo in maniera necessariamente più generica. A volerla complicare di più, si tratta in realtà sempre di sfere nelle sfere. Sfere più piccole contenute in quelle più grandi. Ma lasciamo perdere per il momento. Quello che ci interessa veramente ora è di unire tutti i puntini con il centro della sfera, con la loro causa profonda. Quella che poi, l’abbiamo detto, laggiù tende a essere la stessa per tutti. Perché ci interessa? Beh, ma è molto semplice: per costruire un retino abbastanza resistente da poterla ingabbiare, quella causa, il più possibile vicino all'origine.

Il menù del giorno
Oggi viviamo costantemente immersi in una miriade di problemi che ci angosciano e non ci lasciano tregua. Basta accendere la tv per saperlo (è solo un esempio, in realtà non fatelo per favore). Crisi, disoccupazione giovanile, aziende che chiudono, tasse che aumentano. E poi guerre, terroristi, delinquenti e degrado urbano. E poi frane e alluvioni, i morti e i feriti, le emergenze continue. E il governo che non fa, la politica che non rappresenta, l’economia che non va. E poi ancora l’ambiente, il cambio climatico, la deforestazione e tutto il resto. Tutti temi importanti. Tutti difficili da risolvere. Quanti soldi – ci chiediamo –  quante risorse, quanta volontà politica servirebbe per tappare tutte queste falle? Che poi ognuno ha la sua idea sul come fare. E magari poi va a finire che per una che ne tappi ne saltano fuori altre 10. Eccoci caduti nella solita spirale di disperazione inconcludente...

Proviamo però a tracciare la nostra mappa conoscitiva. La nostra rete sferica. Ci accorgeremo presto, relativamente presto, che si evidenzia un centro comune a tutte queste questioni. Un nucleo da cui propaga e si espande tutto quello di cui veniamo continuamente bombardati. Un nucleo che è rappresentato dal nostro sistema socio-culturale, ossia l’insieme delle leggi e convenzioni umane su cui abbiamo basato la nostra società. In altre parole: quello a cui diamo importanza, e quello a cui non ne diamo, senza nemmeno sapere il perché.
Perché (ad esempio) si lavora sempre di più, anche quando ormai ci si riesce a garantire la copertura delle proprie necessità, a scapito del tempo libero? Passare tempo con la famiglia e gli amici, attività ricreative e rilassanti, culturali... perché sembra non esserci mai tempo per queste cose? Sembra stupido anche solo farsela, una domanda del genere: la risposta è talmente ovvia! “Perché bisogna lavorare”. E se si diventa bravi e serve meno tempo per fare la stessa cosa non vuol dire che si può lavorare meno tempo, vuol dire che si potrà – a conti fatti – lavorare di più nello stesso tempo. È solo un esempio, piuttosto attuale, ma solo un esempio. Viviamo costantemente immersi in tutto questo, da sempre. Convenzioni sociali e leggi umane. Tutte create da noi. Non ce ne accorgiamo nemmeno più, tanto che è davvero difficile metterle in discussione. Sono i fondamenti della nostra civiltà, quelli da cui tutto il sistema in cui siamo nati e cresciuti dipende. Per immaginare alternative serve un notevole capacità di astrazione. E serve conoscenza. Eccoci al punto della questione: la conoscenza.

Fatti non foste a viver come bruti
Il fulcro irradiante di tutti maggiori i problemi che vediamo oggi è proprio il paradigma socio-culturale su cui si basa la nostra società. Il capitalismo cannibale, di cui il consumismo sfrenato e compulsivo non è che il braccio armato. Da lì nascono le guerre e la fame nel mondo. Da lì nascono povertà e ingiustizia sociale. Da lì nasce l’economia del saccheggio, quella che non è in grado di sostenersi sul lungo periodo. Da lì nasce la corruzione e l’inadeguatezza della classe politica, collusa con i poteri forti economici. Da lì nasce l’omologazione culturale e l’appiattimento, l’eradicazione delle diversità. E da lì nasce il più importante degli strumenti di controllo: l’ignoranza.

Come per ogni sistema dominante in ogni epoca storica infatti, anche quello odierno tende a preservare sé stesso, propagandosi nel tempo e nello spazio. Per farlo ha bisogno di propaganda, ha bisogno di supporters e tifosi ciechi. Gente che deve svolgere il compito che gli è stato assegnato senza avere una visione d’insieme, senza preoccuparsi del resto. Ingranaggio di una macchina perfetta, progettata dall'alto. Gente che deve conoscere solo il lato buono del sistema, rimanendo all'oscuro di tutto il resto. Ed eccovi servita l’ignoranza. Eccovi servita la distrazione. Eccovi servito il futile. Eccovi servita la sfera intricata dei 1’000 problemi apparentemente indipendenti da dover risolvere. Ma anche la matassa inestricabile delle preoccupazioni quotidiane che non ci lascia né tempo né modo di andare oltre, di giungere alla fonte. Quella che ci succhia ogni energia, rendendoci impossibile destinarne una parte men che minima a indagare questioni che vengono infatti percepite come secondarie, inutili perché lontane, troppo astratte. La fonte viene ignorata, perché non se ne conosce l’importanza. Laddove dovremmo concentrare le nostre energie per far crollare come un castello di carte il costrutto di tutti i nostri tormenti, lasciamo che siano sporadiche incursioni a farla da padrone, motivate più dalla noia o dal senso di colpa che altro. È così che la fonte si protegge. E continua a irraggiare su tutte le nostre vite.

La conoscenza è l’arma più potente che abbiamo a nostra disposizione per scardinare questo schema che ci vede subalterni. Per riacquisire la nostra dignità e tornare a decidere per noi stessi. Per il bene nostro e di tutta la comunità di persone a cui teniamo. Grande o piccola che essa sia. Conoscenza è tessere una rete solida che unisca i puntini sparsi sulla nostra sfera. E sapere che al tirare un filo ne seguono altri, mentre altri rimangono immobili. Ma è anche andare in profondità, verso la fonte, collegandovi ogni puntino. Dalla superficie al cuore, che è uno solo. Ed è lì che la conoscenza diventa coscienza. Ed è solo con la coscienza profonda che si conducono e si vincono le battaglie. È solo con una grande coscienza che si diventa forti nel portare avanti le proprie cause. 

È solo con la coscienza che si progredisce e si immaginano, poi si creano, le condizioni per un mondo migliore. 

Perché conoscere è sapere di potere.


martedì 23 luglio 2013

L’emergenza della vita sulla Terra

Una notte stellata, guardando il cielo. Quel silenzio che porta consiglio e aiuta la riflessione. Vi siete mai chiesti qual è il nostro ruolo in tutto questo? Vi siete mai sentiti piccoli e inutili, impotenti, di fronte alla vastità delle galassie e del cosmo? Avete mai provato quel senso di irritazione per il fatto che ci consideriamo così importanti, quando in realtà altro non siamo se non un insignificante puntino disperso in uno spazio senza limiti? È bello, è perfino utile a volte, provare questo senso di vertigine, aiuta a dare una prospettiva a tutto quello che facciamo. Personalmente, penso che tutto abbia un senso. Il fatto è che forse non dovremmo cercarlo a priori. Forse ce l’ha, ma è ancora nascosto. È lì, ma deve ancora sbocciare. Glielo darà poi la storia.

La storia, quel susseguirsi di puntini uno dietro all'altro in fila indiana, così piccoli e insignificanti a guardarli da vicino. Così meravigliosamente importanti e significativi a guardarli in successione, a vedere in che direzione puntano nel loro complesso. La storia é un po’ come la vita, ha senso solamente a guardarla dalla fine, all'indietro. Chi può infatti dire di conoscere la vita, o di comprenderla, a priori? Chi può dire che quell'ammasso di molecole, di elementi, di particelle che sono i mattoncini costitutivi della vita, abbia un qualsiasi senso per noi, se non osservando il risultato di miliardi di combinazioni andate a male e di altrettante andate bene, fino a formare il risultato compiuto e meraviglioso che abbiamo davanti agli occhi? Chi può interpretare gli avvenimenti in partenza? Chi comprende la prospettiva ultima che li definisce, o l’orizzonte temporale sconfinato sul quale agiscono? Dio, risponderà qualcuno; nessuno, risponderà qualcun altro. Non é questo il punto.

Per noi uomini, così limitati, non è possibile né forse lo sarà mai. Per noi, pur capaci di raggiungere vette cognitive ammirevoli, picchi filosofici e scientifici incredibili, c'è qualcosa che rimane necessariamente inesplorato e sempre lo rimarrà. Per noi, in grado di meravigliarci di fronte alla vastità e immensità dell’universo dentro e fuori di noi, in grado di porci domande eterne e senza risposta. Per noi che non ci rassegniamo alle frontiere che da sempre limitano la nostra conoscenza... per noi, in definitiva, non esiste altro che il qui e l’ora. Esiste quello che conosciamo in questo momento e le nostre azioni sono – spesso – guidate da questo tipo di sapienza, necessariamente e inesorabilmente limitata. Eppure, a guardarli con gli occhi del tempo, le nostre piccole azioni in fila indiana possono avere conseguenze inimmaginabili. Conseguenze che vedremo solo dopo, mai prima.

Perché è cosi che funziona l’intero universo. Funziona in base a leggi molto semplici, ma mai banali. Parrebbe, a guardarlo al microscopio, che funzioni in maniera meccanica, priva di intelletto o di scelte da compiere. Se in maniera orchestrata o del tutto casuale, dopotutto, non ci interessa. Il punto è che funziona in maniera molto semplice, ma su scale cosi enormi, nello spazio e nel tempo, che queste semplicissime leggi fisiche si sommano, si uniscono, si potenziano e generano l’inaspettato e l'inaspettabile. Emergono nuove proprietà ogni volta che saliamo di livello, ogni volta che la complessità del sistema aumenta. Ogni volta che cambiamo la lente e dal microscopio passiamo dapprima all'occhio e poi al telescopio nuovi mondi nascono, regolati da quelle che sembrano nuove leggi ma non lo sono. Cambia solo il modo in cui le interpretiamo, il modo in cui le capiamo. Il tutto non corrisponde mai alla la somma delle parti, c'è sempre qualcosa di più, un valore aggiunto. Si chiama emergenza: all'ampliare la prospettiva di osservazione, all'aggregare componenti e aumentare la complessità del sistema indagato emergono tratti inaspettati, comportamenti nuovi e imprevedibili. Succede con l’universo intero e con qualsiasi sistema complesso osserviamo; succede con la storia e persino con i sistemi creati dall'uomo come l’economia e la finanza; succede con la vita: è l’emergenza della vita, il sorgere di forme di vita sempre più complesse e splendidamente adattate al loro ambiente, partendo da mattoncini insignificanti e inanimati. È il meccanismo su cui appoggia l’evoluzione.

Ed è la bellezza della vita. La bellezza, ciò che noi interpretiamo come simmetria, come equilibrio, come armonia; ciò che vediamo come un fine, un qualcosa di prefissato da raggiungere, sta in realtà tutta qui. Sta nel fatto che nel tempo, in seguito a miliardi e miliardi di prove e di tentativi, le cose si sono infine evolute sino allo stadio in cui noi oggi le vediamo, le conosciamo, e che interpretiamo come bello proprio perché perfettamente adattato ed in sintonia col proprio ambiente. La bellezza dentro e fuori di noi è il risultato di miliardi di miliardi di puntini messi in fila, di prove andate più o meno a buon fine, di sbagli poi rimediati, fino a che un altro sistema migliore non è più possibile, per cui quello che esiste deve essere per forza armonioso, in equilibrio, perfetto. Bello. Non c'è un fine in tutto questo, ci sono regole molto semplici che si ripetono e ci conducono fino a dove siamo oggi. Siamo noi, poi, a cercarlo un fine in tutto questo. E spesso c'è, ma non è proprio là dove lo stavamo cercando. Ma questo si capisce solo dopo, mai prima.

E allora ha senso cercare di interpretare tutto questo a priori? Di fronte al mare di sconfinate possibilità, alle infinite rappresentazioni  che può assumere un evento davanti ai nostri occhi inesperti, ai miliardi di strade che può prendere la vita e la storia ad ogni singola frazione di secondo, come possiamo pretendere di intravvedere seppur per un istante l’orizzonte del tempo? Non possiamo vedere il futuro, ma possiamo imparare dal passato e vivere il presente. Il presente, uno appena di quei miliardi di puntini in successione perpetua che fanno la storia. Vivere il presente con cognizione di causa è tutto quello che possiamo fare, per poi – un giorno – voltarci all'indietro e capire la portata di quel puntino tracciato quasi per caso, capire dove effettivamente avrebbe diretto la storia, capirne il peso e l’importanza. Ma lì per lì, no. In questo siamo limitati, dobbiamo capirlo. Ma non per questo serve porci altri limiti. Perché non fare semplicemente il nostro, ciò che riteniamo in ogni momento la scelta migliore, la scelta più giusta, e aspettare poi di vedere come si combinerà inaspettatamente con i miliardi di miliardi di altre scelte simili lungo i meandri dello spazio e del tempo?

L’emergenza della vita sulla Terra significa la vita che nasce ogni giorno dalla successione degli eventi, dalle scelte che si fanno, dalle strade che si percorrono, senza che ce ne rendiamo conto. Ma anche, secondo un gioco di parole beffardo, il fatto che la vita sulla terra, oggi, è in uno stato di emergenza. Di eccezionale rischio e instabilità. Di straordinario pericolo. Ed è qui che nasce, infine, la questione della sostenibilità. Dobbiamo fare qualcosa per rendere il nostro mondo più sostenibile, aumentare le nostre probabilità di sopravvivere nel tempo assieme col nostro pianeta e tutto quanto ci circonda, visto che senza di esso non potremmo, in ogni caso. Ma attenzione: dobbiamo non perché lo decidiamo noi, ma perché non c'è altra scelta. Insostenibile non significa infatti moralmente o eticamente sbagliato, significa semplicemente che non può continuare, che lo vogliamo o no. Ma anche volendo, come potremmo farlo se in fin dei conti non riusciamo a vedere il futuro, non possiamo immaginare cosa succederà e non abbiamo in ogni caso il controllo sulle conseguenze profonde di ciò che facciamo? Se siamo così piccoli che ci sentiamo schiacciati a confrontarci con gli eventi? Se ci sentiamo insignificanti di fronte a problematiche globali e ad orizzonti sconfinati? Cosa potrebbe fare una singola persona come me, o un insignificante gruppo di persone come noi, di fronte a simili magnitudini?

Quando vi ponete queste domande, guardatevi allo specchio. Voi stessi siete la prova vivente dell’emergenza della vita sulla Terra. Se gli elettroni si chiedessero che differenza farebbe ruotare o no attorno ai nuclei degli atomi, se le molecole che avete all'interno del vostro corpo pensassero che dissociarsi per liberare energia all'interno delle cellule fosse inutile, se il cuore si chiedesse che senso abbia continuare a battere... voi oggi non sareste qui. Non potreste guardarvi allo specchio. Ognuno fa la sua parte nell'universo. E la fa, semplicemente, perché quello é il suo ruolo. Il cuore batte senza chiedersi il perché, perché è semplicemente quello fa per costituzione: batte. Perché i tessuti di cui si compone si contraggono e rilassano ritmicamente, così che lui non deve in realtà decidere nulla, ma per noi è fondamentale che lo faccia.

Noi siamo uomini, abbiamo il privilegio di poter ragionare, di poterci meravigliare, di poter tendere alla conoscenza, di poter decidere se agire o non agire. Questo è il nostro privilegio e questo è il nostro ruolo. Quello di avere un impatto sul nostro ambiente in molti modi diversi. Ma il nostro dovere é sempre lo stesso. Fare ciò che ci viene richiesto nelle circostanze in cui ci troviamo. E allora nel momento in cui vi guardate allo specchio pensate anche alle conseguenze di tutto quello che voi, e altri 7 miliardi di esseri simili a voi, stanno avendo su questo pianeta, su questo enorme sistema complesso che é la Terra, che assieme a noi ospita milioni di altre specie viventi e che vive secondo una grandezza che per noi risulta appena comprensibile. E smettete di pensare al fatto che qualsiasi vostra azione, in comparazione, possa essere insignificante. Semplicemente, agite. Fate come gli elettroni, come le molecole, come gli organi. Noi uomini ci interroghiamo, poi capiamo, poi agiamo. Non preoccupatevi di cosa verrà dopo, fate ciò che credete giusto. Muovete il vostro puntino di presente nella direzione che la vostra coscienza vi indicherà come giusto. Il resto seguirà, emergendo ancora una volta dalle righe della storia. E allora, ma solo allora, al girarvi all'indietro, comprenderete la potenza di quel gesto così insignificante. Comprenderete cosa, per davvero, voleva dire sostenibilità.

Guardatevi allo specchio e pensate all'emergenza della vita, di cui siete la prova vivente. Guardatevi allo specchio e pensate all'emergenza della vita, che vi spinge ad agire. Il resto, poi, verrà da sé. Nel momento in cui tu stesso sei la prova del successo, agire diventa un dovere per chiunque.





venerdì 12 luglio 2013

Pubblico qui la traduzione in italiano della prefazione alla mia tesi di dottorato, il cui tema è l'energia ondimotrice (quella delle onde del mare). Spero possa essere uno stimolo ad unire i puntini di quello che stiamo vivendo, nonché una fonte di determinazione a prendersi la propria parte di responsabilità.

* * *

Il Mondo dell’energia a buon mercato è finito

benvenuti in un futuro più luminoso

Sin dalla rivoluzione industriale del XIX secolo la fame del Mondo di energia a basso costo che potesse alimentare un’economia in continua crescita è aumentata a un ritmo costante. I combustibili fossili diventarono presto la nostra principale fonte di energia, essenzialmente per via di una densità energetica estremamente alta e della loro facilità di trasporto ed accumulo. La disponibilità di una simile fonte di energia in abbondanza permise la crescita esponenziale dell’economia e il progresso tecnologico nei cosiddetti paesi sviluppati. Allo stesso tempo, tuttavia, determinò a livello globale conseguenze negative di tipo ambientale, sociale e politico, che sono state ampiamente sottovalutate per molti decenni. Tra di esse le più evidenti sono forse l’esaurimento delle risorse, l’inquinamento, la diseguaglianza e instabilità geo-politica; tutte comunque radicate profondamente nel paradigma consumista e nella sottostante ipotesi della possibilità di una economia in perpetua crescita, alla quale l’era dell’abbondanza di combustibili fossili ha abituato tutti noi. Con la crisi sistemica che il Mondo occidentale sta attualmente affrontando, è diventato evidente che questo tipo di paradigma è vecchio e ha bisogno di essere aggiornato.

Le energie rinnovabili non rappresentano solo una nuova forma di energia, ma rappresentano il necessario cambio di approccio richiesto all'umanità nei confronti del proprio ambiente.

Essendo molto meno dense energeticamente, più difficili da immagazzinare e fortemente connesse nella loro disponibilità alle condizioni geografiche locali, la loro implementazione richiede un diverso tipo di infrastruttura. Ci si dovrà evolvere da un sistema centralizzato, dall'alto verso il basso, a un sistema distribuito più democratico e flessibile, riflettendo lo sviluppo dei nostri modelli sociali nell'era di internet. Saranno necessarie reti intelligenti locali che garantiscano una più efficiente e dinamica coordinazione tra la fornitura e la domanda di energia, ma anche super-reti in grado di promuovere la cooperazione tra diverse regioni geografiche e in grado di fornire in modo dinamico un cuscinetto di energia, qualora richiesta. I trasporti dovranno essere ridotti drasticamente, evolvendo verso sistemi di trasporto collettivi e tendenzialmente elettrici. In generale, si dovranno sviluppare e introdurre tecnologie più efficienti.

Ma a parte il pur necessario adattamento delle infrastrutture e gli avanzamenti tecnologici richiesti, la più grande sfida di una transizione verso un Mondo più sostenibile sta probabilmente nella necessità di evolvere delle persone e delle politiche, di sviluppare una diversa mentalità e una diversa attitudine nei confronti della realtà. Le energie rinnovabili sono un flusso, non un accumulo di energia; ciò costringerà la società a tornare in uno stato di equilibrio dinamico con la natura e con il proprio ambiente, in accordo coi limiti della fisica più che quelli della propria immaginazione o stabiliti da “leggi umane”. Il Mondo intero dovrà presto affrontare la necessità di consumare meno energia, consegnando alla storia il concetto di crescita perpetua e le tendenze esponenziali che hanno caratterizzato la nostra società per decenni.

Tutto questo dispiegherà una serie di cambiamenti sociali e politici che sono ora troppo lontani da potersi interamente immaginare. In ogni caso, è probabile che abbia luogo una profonda ri-localizzazione dell’economia globalizzata, implicando un diverso equilibrio tra aree urbane e rurali, la riprogettazione del sistema di produzione e distribuzione di beni e cibo, nonché un più efficace sistema di gestione delle risorse. Anche il sistema economico e finanziario richiederà una riforma sostanziale e il comportamento stesso delle persone dovrà evolvere in accordo con la nuova realtà. Alla fine, potrebbe persino emergere una nuova concezione rispetto a come gestire la società e degli obbiettivi fondamentali che essa si prefigge.


Le energie rinnovabili incorporano ognuna e tutte queste sfide. Ignorarlo sarebbe dannoso non solo per il loro sviluppo e la loro implementazione, ma per la futura prosperità della nostra società. Potranno rappresentare un qualcosa di tecnico per molti; per me, rappresentano una precisa responsabilità politica di chiunque viva il nostro tempo.


Stefano Parmeggiani




lunedì 25 febbraio 2013

Il pedone e il giocatore di scacchi


Questa sera non so cosa pensare. Sarebbe facile saperlo, ma non lo voglio fare. Sarebbe facile pensare “italiani coglioni”. Giá fatto... non porta da nessuna parte, non é né giusto né costruttivo. Sarebbe facile pensare “avete sbagliato tutto”... lo fanno in tanti, si...ma poi? Sarebbe facile pensare “me ne vado”. Giá fatto, ma ignorare il problema non fa che amplificare la questione. In definitiva, sarebbe facile sentirsi un osservatore del problema, piú che una parte integrante di esso.

Ieri mentre mettevo quelle due croci da analfabeta l’ho fatto con una coscienza precisa, avevo una speranza. La mia speranza andava oltre la sensazione diffusa che qualcosa stesse cambiando, andava oltre: era un atto di volontá. Volontá che qualcosa cambiasse. Era la speranza che potessimo ricordarci del nostro passato per interpretare a dovere il presente. E per immaginare il futuro. Era la speranza che le coscienze tutte degli italiani si fossero finalmente messe in moto, avessero per una volta acceso i sensori a indicargli la strada da dove venivano, la stessa sulla quale non si doveva tornare. La sensazione, questa sera, é che mi ero sbagliato. Non so se sia effettivamente cosí, la storia si interpreta solo a posteriori. In momenti come questi mi sento semplicemente un pedone sulla tavola degli scacchi, quelli che avanzano solo dritto, una casella alla volta, senza poter tornare indietro. Il giocatore di scacchi invece vede tutto dall’alto. Ha una tattica in mente, ha delle prospettive, combina nella sua mente tante pedine e conosce in anticipo la strategia dell’avversario. La storia, giocatore esperto, come al solito seguirá il suo corso. E come sempre sará soprendente capire in che modo aveva ragione lei. Potrebbe pure non sembrare, ma si stanno scatenando eventi che vanno al di lá della nostra comprensione. Il classico battito di ali di farfalla. E infatti non sembra. Ma io non sono un giocatore di scacchi, sono un semplice pedone.

E allora l’unica cosa che penso, questa sera, é che ho sbagliato tutto. E hanno sbagliato, come me, tutti quelli uguali a me. Tutti quelli che questa sera non sanno che cosa pensare, tutti quelli che una spiegazione proprio non la riescono a trovare. Tramortiti, attoniti, scossi. Hanno sbagliato gli intellettuali, i critici, quelli della sinistra, la sinistra vera. Hanno sbagliato quelli che si ritengono al di sopra delle bassezze, quelli che cercano la veritá con sincera dedizione, che rifuggono come la peste le facilonerie e le lusinghe elettorali, quelli che non ci stanno a sporcarsi le mani per giocare nel fango. Mi ci metto dentro anche io, in pieno. Abbiamo sbagliato. E non perché non avessimo ragione, ne sono ancora fermamente convinto. Abbiamo sbagliato perché questo non é il paese in cui vivamo. E lasciamo stare tutti i discorsi sull’italiano medio, su chi si informa solo attraverso la tv, su chi non ha capacitá critica e su chi non usa la testa se non per riempire lo spazio tra le orecchie. Lasciamo perdere tutti questi discorsi perché qui non si tratta di criticare, ma di assumersi le proprie responsabilitá. L’unica cosa che possiamo fare. L’unica cosa che in questo momento dipende davvero da noi.

Chiediamoci: com’é possibile che sia andata ancora cosí? Lo snobbavamo, lo davamo per finito, dicevamo che “gli italiani hanno imparato”... parlare al vento, senza parlare con gli italiani. Pensare che gli italiani votano con la pancia piú che con la testa senza cercare di farli ragionare per non farlo... é ancora piú grave che farlo noi stessi. Questo é il paese in cui viviamo. Questa é la gente che ci sta attorno. Questa é la NOSTRA gente. Questi SIAMO NOI. E come al solito, noi si ha quello che ci si merita. Prima di tutto: conoscere il problema.
La sinistra intellettuale é morta, ancora una volta. Dissanguata. Lacerata da un senso di superioritá misto ad una scarsa aderenza col mondo reale. Misto, verrebbe proprio da dirlo, a una mancanza di impegno politico. É morta per non parlare alla gente che vota con la pancia. É morta per non mettersi a discutere con loro. É morta per non cercare di far ragionare chi urla. É morta per non spiegare le cose come stanno davvero. É morta per non riuscire a farle capire alla gente. É morta per non volersi abbassare nel fango del dibattito politico di oggi, per non volersi sporcare le mani a raccogliere quell’asticella che in piú di 20 anni ormai é al livello fecale del suolo... perché solo cosí sarebbe stata in grado di tornare ad alzarla lá dove le compete stare. Con estrema umiltá e coraggio. Secondo: saper rispondere al problema. Parlare la lingua delle persone vere, anche se senza lusingarle e prenderle in giro sicuramente é piú difficile che ti ascoltino. Ma provarci.

Ecco dove sta la responsabilitá politica di ognuno di noi, militante o no. Politica é impegnarsi in prima persona. Fare divulgazione, parlare a chiunque, diffondere una coscienza critica, crescere insieme al tuo interlocutore in un dialogo costruttivo... tutto questo é un atto politico profondamente importante. Cosí come lo é – di segno contrario – il ritenersi al di sopra del problema, nella propria torre d’avorio lastricata di snobbismo a guardare il mondo dall’alto. Consapevoli, nella propria dignitá minoritaria, di avere la veritá in tasca e la protesta in ogni caso assicurata.

Forse non capiró mai come si legge una partita a scacchi, ma la responsabilitá di avanzare nella mia direzione stasera la sento forte. E come me, dovrebbero sentirla in tanti. Forse non staremmo qui a guardarci negli occhi sconvolti, stasera. Forse non ci sarebbero, dopotutto, serate come queste. Forse... se ognuno di noi facesse la sua casella in avanti con coscienza e convinzione... forse alla fine capiremmo che la storia, dopotutto, siamo noi pedoni.